Scrivere di poesia è anche riuscire ad estraniarsi ad un contesto di frastuono dovuto a muratori e ponteggi. Facciate da rifare e martellanti contingenze condominiali. Trovare un posto “tutto per sé”, per parlare di qualcosa di apparentemente impalpabile eppure concretissimo.
Perché la poesia è in grado di farci entrare in un piccolo luogo misterioso e aprirci le strade dell’infinito.
C’è un altro libro che ha incrociato il mio cammino in questo periodo e che si intitola proprio “Il tuo nido, il mondo” ed è una splendida raccolta di poesie – scritte sublimemente da Carl Norac, illustrate con delicata vivacità da Anne Herbauts e tradotte dalla ispiratissima Silvia Vecchini, ed edito da Topipittori.
Cosa esiste di più piccolo protetto e apparentemente isolato dall’esterno di un nido?
Eppure esso è un punto di osservazione finissimo. Dal quale poter percepire ogni minimo fruscio del vento fra gli alberi, il crepitio della foglia calpestata o il fragile dondolio di quella che sta per staccarsi dal ramo. Il nido è più vicino e sensibile a quello che lo circonda di quanto si possa pensare e se si riflette bene è addirittura un tutt’uno con quello che lo cinge così strettamente.
Ne fa parte e ne partecipa. Microcosmo in un macrocosmo nel quale tutte le cose rimandano a tutte le cose. Sono legate insieme, fremono del vibrato comune e sono distanti e simili al contempo una all’altra.
Lo stesso fanno le parole di Norac. Si mimetizzano, giocano, si sporgono per vedere il sole sorgere, cantano le canzoni degli alberi, si fanno alberi stessi, rami, uccelli, nidi, ascoltano elefanti feriti e si fanno elefanti anch’essi.
Come a dire che la poesia a tutto partecipa e può essere tutto. Perché tutto noi stessi siamo. E a tutto noi stessi, proprio come il poeta, apparteniamo.
Così bene lo descrivono le delicate ma vivaci illustrazioni di Herbauts, che siano acquerelli o matite o tecnica mista. Ancora una volta ad affermare come la poliedricità sia alla base di ciò che ci circonda e di ciò che portiamo dentro.
Qui uno dei miei componenti preferiti in cui Norac descrive la fenomenologia del creare.
“Su un filo e su un istante, ho posato le mie idee come uccelli,
Gabbiani qui, passeri là.
Credevo che questi e quelli sarebbero andati in giro a cercare.
È successo allora che le mie idee
Hanno cantato, non troppo forte, ma immagina:
Tu metti delle parole in riga
Senza che nessuna fili via
Poi, inaspettatamente, un batter d’ali!
Eccoti precipitare
E al tempo stesso salire verso l’alto.
Forza questa volta scriverai proprio questo:
“Su un filo e su un istante, ho posato le mie idee,
gabbiani qui, passeri là”.
E improvvisamente, almeno per un secondo,
Senza aspettare, ecco il tuo nido, il mondo”.
Un libro da tenere a portata d’animo.
©ZazieVostok