Mi sono interrogata spesso su quale sia il nostro approccio alle immagini oggi e all’arte visuale. Non è semplice rispondere. Ci aveva provato David Hockney con la sua Alla scoperta delle immagini. Dalle caverne a internet, che prima di essere un libro per ragazzi era stato un bel tomo corposo per adulti.
Molti nodi erano stati sciolti, molti altri rimangono. Tant’è che ci si interroga molto spesso su cosa sia lo stesso concetto di arte e l’Estetica, negli anni, si è nutrita di formidabili studi.
Come ci si debba avvicinare ad un’opera d’arte, che significato debbano avere i musei oggi, sono questioni che riguardano la contemporaneità. Ma un sincretismo di domande ed interrogativi, e questioni irrisolte balenano in un albo che mi piacerebbe presentare e che ribalta qualsiasi tipo di approccio convenzionale al libro illustrato.
Sto parlando di Museum di Javier Sáez-Castán, illustrazioni di Manuel Marsol edito da Orecchio Acerbo.
«Che cosa è un museo? È un luogo dove si conservano le opere d’arte? O è anche un luogo per nutrire l’immaginazione?».
Ne avevo colto suggestioni nello specifico con lo splendido The Gift di Page Tsou.
Nulla aveva assunto però finora queste forme.
Mi sono fatta un’idea e cioè che Museum sia un sogno ad occhi aperti dalle atmosfere surreali e magrittiane.
Un personaggio, i cui connotati rimandano ad Edward Hopper, che poco prima era alla guida del suo pick up rosso, si trova con la macchina in panne di fronte a quella che ci appare come un’innocua casa in collina.
Le inquadrature di Marsol, premiato come miglior illustratore alla Bologna Children Book Fair, hanno un’apertura che ci proietta nel quadro dall’alto, ad offrire uno sguardo cinematografico. Tant’è che in Museum mi è sembrato di cogliere, tra le altre, vaghe atmosfere hitchcockiane (la casa in collina di Psycho ci suggerisce che la casa non è poi così innocua) oltre che un’ambientazione americana anni ’50.
Quello che ci si para davanti una volta varcata la soglia della casa-museo, come si evince dalla targhetta che occhieggia sul portone, è a tutti gli effetti un rompicapo.
E come Edward Hopper era il pittore dell’apparente immobilità, qui le azioni e le prospettive che trovano spazio nei quadri ospiti di sale sovrailluminate, si mettono in moto misteriosamente sotto lo sguardo attonito nostro e del protagonista. Che non sembra poter far altro che entrare ed uscire in continuazione dalle tele e osservarsi sprovveduto nel quadro successivo, dopo aver appena abbandonato di gran fretta quello precedente.
Non voglio calarmi troppo nei dettagli perché quella di Museum è di fatto un’esperienza silenziosa (nel libro compaiono solo le didascalie sotto i quadri esposti) e potente. Attraverso di essa si assiste ad uno spericolato e ironico cambio di ruoli fra realtà e finzione, fra il concetto di dentro e fuori, qui e oltre. E in questo continuo cambio di vesti e sfondi forse arriviamo a capire quanto Javier Sáez-Castán non sia molto distante dal grande Munari, e che per entrambi l’arte non sia altro che un divertentissimo gioco.
©ZazieVostok