Tomi Ungerer è stato per certo e già dagli anni ’60 una delle voci in controtendenza rispetto alla narrativa tradizionale, aprendo il mondo dei piccoli alla realtà e all’ironia più sagace e a personaggi scomodi per la cultura della sua epoca, muovendosi a proprio agio fra affiches per il cinema, volumi erotici, illustrazione satirica e tanti tanti libri per bambini.
E trovando per questo un clima ostativo soprattutto negli Stati Uniti, che gli fece guadagnare il bando dalle biblioteche americane.
Proprio per la sua spericolatezza ed il suo genio inconfutabile nelle invenzioni grafiche e visuali egli nel 1998 vinse il Premio Hans Christian Andersen per il miglior illustratore, e nel 2002 l’italiano premio Andersen per il migliore autore. Oltre che numerose onorificenze
Ma è altrettanto vero che insieme ad altri scrittori di letteratura per l’infanzia egli si pose sempre, per vocazione e spirito, al confine del “pensare comune”.
Un pò come Astrid Lindgren o Tove Jansson, Maurice Sendak o come Raymond Briggs o Ludwig Bemelmans o ancora Roald Dahl (per citare solo alcuni fra gli autori “atipici” del XX secolo), mi piace pensare a Tomi Ungerer come un “fuori legge” della letteratura per l’infanzia, armato di volta in volta di matita o di penna per combattere ogni deriva moralistica, convenzionale, ogni visione del mondo bambino intrisa di tradizione sociale e pedanteria pedagogica.
A pensarci bene, questi “fuori legge” possono in qualche modo essere assimilati ai tanti antieroi o a quelle figure cariche di fascino e di mistero che popolano la loro letteratura, che abbiamo imparato a conoscere, e che nei libri per l’infanzia la traghettano verso una consapevolezza la quale nulla ha a che vedere con l’universo adulto, anzi vi si contrappone in maniera critica, spesso caustica.
Fatta questa premessa, il 3 febbraio sarà pubblicato da LupoGuido Editore “Baruffe e facce buffe. Un libro per chi non vuole andare a dormire”.
L’autore è William Cole: americano, editore – ricopre il ruolo di direttore pubblicitario presso Alfred A. Knopf, direttore pubblicitario ed editore presso Simon & Schuster ed editore di William Cole Books presso Viking Press – editorialista, autore e scrittore di “verso leggero”. Ha prodotto circa 75 libri, la maggior parte dei quali antologie. Le sue sono poesie irriverenti, ironiche, giocate sul non sense, l’allitterazione spinta all’eccesso, sottili ed affilate.
Tomi Ungerer ha illustrato questa come numerosissime sue raccolte, poiché nelle sue parole riconosceva quella carica sovversiva che lo accomunava alle sue opere.
Va detto che la traduzione poetica di “Baruffe e facce buffe” è affidata ad Alessandro Riccioni, a sua volta poeta e autore di libri per l’infanzia.
Insomma, già da queste premesse si può ben capire come questo libro sia una piccola perla editoriale.
E già sappiamo che quello che in apparenza potrebbe profilarsi come uno dei tanti innocui libri per la buona notte, nelle mani di Ungerer si trasforma in qualcos’altro. Bisogna dire che Cole offre all’illustratore alsaziano una grandissima occasione per dimostrarlo.
Ci sono tre fattori principali che connettono questo libro con il mondo dell’infanzia e che vanno attribuiti in parte a Ungerer, che come sempre riesce ad avere un canale privilegiato con il mondo bambino, ed in parte a Cole.
C’è la narrazione che trasporta nel terreno fecondo dell’immaginazione attiva, nel mondo sospeso ed eterno del “C’era una volta”, in una dimensione in cui lo scorrere del tempo quotidiano rallenta fino a fermarsi e scivola in una realtà priva di orologi e lancette che ticchettano. Questo libro di fatto è espediente narrativo, è costruzione sapiente di una storia, è varco verso l’immaginifico.
In secondo luogo c’è il gioco, altro elemento con cui congiungerci al mondo dell’infanzia.
“Facciamo che io ero”.
Alla bambina che non vuole andare a dormire il papà propone un diversivo. Quello delle boccacce.
E quelle boccacce non sono altro che la rappresentazione visiva degli innumerevoli stati d’animo che transitano nel cuore dei bambini e molto spesso siamo noi adulti a censurare.
“Non fare quella faccia che ti rende bruttino/a”.
Che purtroppo equivale inconsciamente a “non provare quel sentimento perché non si addice ad un bambino”.
Queste pagine rappresentano per Ungerer la possibilità di rappresentare visivamente i bambini per quello che sono. Di riconoscere loro la possibilità di essere poco desiderabili, anche brutti, grotteschi nelle loro espressioni e nelle loro manifestazioni. Ironici, arrabbiati, tristi, spaventati, sorpresi, riflessivi, divertiti, spensierati, preoccupati, ma sopra ogni cosa liberi. Liberi di essere bambini. Liberi di essere.
Come terzo elemento abbiamo la parola declinata in poesia, in versi che ci riportano ad una lingua primordiale. Ai giochi dell’infanzia. Ad una lingua che si fa ritmo e suono. Un linguaggio a portata di bambino senza mai sfiorare la banalità. Un linguaggio che rispecchia gli stati d’animo richiamati di volta in volta da un papà che prende sul serio sua figlia, fino a farla transitare dal mondo della fantasia a quello onirico. Perché come diceva Munari, “Giocare è una cosa seria”.
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