Cosa sia successo e quando, non ci è dato saperlo. Si sa solo che è avvenuto, come si preventivava da tempo.
L’innalzamento delle acque ha travolto ogni elemento in superficie. Gli unici superstiti sono coloro che abitavano quelle acque da sempre, testimoni parziali di un mondo che è stato spazzato via. A ricordarlo matericamente restano solo monumenti ed elementi architettonici. A riportarlo alla memoria e a riflettere su cosa sia stato, il popolo delle profondità.
È da poco uscito per i tipi di Orecchio Acerbo l’albo Il sogno del Nautilus, di David Almond e Dieter Wiesmüller.
Almond è un autore inglese che non ha bisogno di presentazioni — basti citare Il sogno di Mina e Skellig — ed è vincitore, tra gli altri, del premio Hans Christian Andersen nel 2010.
Dieter Wiesmüller, da parte sua, ha disegnato numerose copertine di libri, ma anche quelle per riviste come Spiegel e Stern. Illustratore e talvolta autore, è stato docente alla Fachhochschule, l’istituto che lo aveva visto studente. Tra i vari premi ricevuti, il Troisdorf Picture Book Prize.
Tornando a Il sogno del Nautilus, come spesso accade con Almond, non ci sono escamotage o espedienti letterari che ci introducano in maniera chiara alla storia. Ogni volta ci troviamo trascinati, spaesati e straniti, all’interno della narrazione, cercando di orientarci in un mondo tutt’altro che lineare. E in questo caso, inabissati in profondità oceaniche, come fossimo pesci a nostra volta.
L’unico elemento che ci giunge come un appiglio, è l’avvertimento che «queste sono pagine piene d’acqua. In loro, visioni grigio-azzurre lievitano come sogni, portandoci storie di creature marine, storie di noi stessi: un popolo esistito tanto tanto tempo fa».
L’invito di David Almond è quello di immergerci — “letteralmente”. Ma non è necessario farlo, siamo già fra quelle creature, intenti a leggere avidamente quello che hanno da comunicarci meduse, delfini, tonni, megattere (filosofe) e polpi, solo per citarne alcuni.
E mentre i pesci si interrogano su di noi, portando le loro testimonianze — a volte indifferenti, a volte partecipi, a volte estremamente ingenue, in alcuni casi anche dure —, è ben chiara nella nostra mente la consapevolezza che la caratteristica predominante che ci ha connotato è stata la nostra vocazione distruttrice.
Perché, proprio come si chiede “candidamente” il Nautilus in una delle pagine crepuscolari di questo albo illustrato, pervaso da un silenzio di fondo insieme misterioso ed elegiaco:
«Non è possibile che i più grandi sognatori siano quelli che causano i problemi più grandi?»
©ZazieVostok